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Alice non lo sa, di Carmen Laterza

Libro comprato dalla sezione “Offerte lampo” dello Store di Amazon, sezione che adoro e da cui sono arrivata a molti piccoli gioielli che tanto mi hanno donato e lasciato.

Amo profondamente questa sezione per svariati motivi, ad esempio perché mi fa sentire come se fossi in un mercatino dell’usato o dell’antiquariato da cui tante meraviglie si scoprono; la amo profondamente perché contiene libri non rinomati, che non appartengono ai famigerati best seller o che non sono stati pluripremiati e spesso questi preamboli che tante aspettative creano mi lasciano un senso di delusione ed amarezza per le troppe aspettative tradite.

La amo anche perché, i libri contenuti, proprio perché non ancora molto famosi, non sono stati recensiti infinite volte da infiniti punti di vista e arrivo a scoprirli con uno sguardo vergine ed un’idea tutta da costruire assolutamente personale.

Alice non lo sa, di Carmen Laterza, era in questo spazio e fra quelli presenti ha attirato la mia attenzione più di tutti gli altri, questo perché nella trama del libro protagonista è una famiglia, quella di Roberta, composta dal marito Carlo, i due figli, Riccardo e Alice e la nonna materna, Mimì.

Nella trama, particolare accento viene posto sulle tre figure femminili, pilastro di questo libro che, attraverso la loro differenza generazionale, guarderanno lo stesso mondo e le stesse circostanze ma da punti vista differenti.

“Alice non lo sa”, è un titolo che mi ha particolarmente colpita, indica qualcuno di ignaro e invece la piccola Alice sarà quella che saprà prima e più di tutti.

La mia attrazione verso questo libro nasce dalla storia che racconta di una famiglia con tutte le sue dinamiche dandomi un senso di calore ed appartenenza a questo nucleo.

Questa impressione, però, con mia somma delusione, nell’arco del libro si perde e non viene mantenuta.

Della famiglia nella trama, non c’è più nulla. Il matrimonio tra Roberta e Carlo, che nella trama viene evidenziato come in crisi, rimarrà tale ma sempre e solo sullo sfondo, senza che mai accada i due protagonisti di questa crisi se ne confrontino, ne parlino, ne discutano, da vera coppia, da veri coniugi.

Ci saranno dei confronti, ma pochi, confusi, perlopiù nell’animo di ognuno dei due dando poco spazio di confronto tra loro e poco spazio al lettore che di questa crisi ne coglierà un senso sfuggente e confuso.

La crisi del matrimonio di Roberta e Carlo, così come la loro famiglia, verrà filtrata dalla figura della nonna materna, Mimì, figura che invade e pervade tutto in questa famiglia dove la nonna sembra essere il vero marito della figlia spodestando il genero.

Roberta appare come una figlia mai cresciuta, seppur quarantenne con due figli, un marito, una casa ed un lavoro.

 Appare stanca e sopraffatta dalla sua stessa vita, da questo matrimonio, da Carlo, del quale un tempo si era innamorata per le stessa ragioni che ora la allontanano da lui, dal lavoro, dalle tenere tutto insieme.

Da Carlo non si sente appoggiata e sostenuta, lo trova freddo, indifferente verso la famiglia, preso solo dalle sue esigenze e dal lavoro e si accontenta lui torni ogni sera a casa, seppur la sua presenza poco le cambia.

Carlo, dal canto suo, in realtà è tutto fuorché indifferente, ha solo ritmi di lavoro molto elevati che poco spazio ed energie per il resto gli lasciano. Ama sì il suo lavoro, ma traspare anche l’amore per la sua famiglia, anche se lo manifesta con meno morbosità di Roberta e con meno platealità.

Roberta non riesce ad accettare qualcuno possa amare in un modo così diverso dal suo ma in realtà un vero confronto con Carlo non lo cerca mai, ed anzi, si chiude lasciandolo fuori da tutto, anche da una terribile notizia che le giungerà e la riguarda in prima persona.

Insomma, questa coppia di coppia ha solo i figli e lo stesso tetto e da queste crepe traspare la luce di Mimì che tutti accieca.

Mimì è una figura molto presente in questa famiglia, forse anche troppo. Leggeremo e sapremo più di lei che di Carlo e di Roberta.

Mimì è una figura che viene raccontata talmente perfetta da non risultare reale. Lei riesce in tutto, è sempre precisa, sorridente, sa sempre cosa dire e cosa fare e se qualcosa non va, Mimì saprà come farla andare.

Nonna amorevole e mamma chioccia, protegge tutti a tal punto da venire idolatrata da figlia e nipoti.

Non voglio demolirla, anche io a questa Mimì mi sono tanto affezionata, ma devo ammettere che, nel momento in cui un evento catastrofico da cui tutti ha tenuto all’oscuro (anche noi lettori) viene travolta, questo cambia completamente il senso e l’equilibrio del libro che ha basato tutta la sua struttura su questa figura potente e luminosa che sembra indistrubile ed invece, d’improvviso, viene mostrata in tutta la sua umanità e fragilità e proprio come la piccola Alice e Roberta, mi sono sentita spiazzata ed anche un po’ tradita soprattutto perché, per buona parte del libro, a questo non si viene assolutamente preparati.

Alice ha solo sei anni e il libro si intitola “Alice non lo sa” ed invece Alice sa tutto, perché Alice lo sente.

Sente la crisi e la profonda crepa nel matrimonio dei genitori, sente la stanchezza della madre, sente che la nonna viene travolta da una catastrofe che cerca di nascondere a tutti, da cui tutti cerca di proteggere raccontando bugie che riescono ad ingannare tutti eccetto lei, sente l’omosessualità nascente del fratello tredicenne che da piccolo e dolce diventa un adolescente chiuso e scontroso e lei capisce che questo dipende dai sui sentimenti che nutre per un suo compagno, Giovanni, sentimenti nuovi che non sa come affrontare.

Alice sente tutte queste cose perché osserva le persone quando non sanno di essere guardate, ed è lì che scova quello che tanto ci impegniamo di non far apparire agli altri, a non far arrivare fuori.

Alice è un personaggio del quale è davvero impossibile non innamorarsi, una lente d’ngrandimento sul mondo e sulle persone, ci insegna a sentire, piuttosto che a sapere.

Tutti nella storia si affannano per non far sapere ad Alice, ma Alice lo sa perché lo sente, non ha bisogno nessuno glielo racconti cosa accade.

Ciò che mi ha dispiaciuta è stato l’enorme riflettore posto, da un certo punto in poi del libro, sulla catastrofe che travolge Mimì, portando un’ondata di dolore ed impotenza in tutti i protagonisti, incluso il lettore.

Ci si sente traditi da queste menzogne che Mimì racconta a tutti per proteggerli, ci si sente arrabbiati da questo tempo ed innocenza rubati, un’innocenza da lei tessuta con tanta ostinazione.

È surreale nessuno abbia capito ciò che si celava dietro quelle bellissime storie raccontate come toppe a questo dolore, che parlavano di una Mimì perfetta e sempre felice e questo ci fa comprendere di più di Roberta e della psicologia del suo personaggio (e forse di molti figli) che seppur ormai donna e adulta, vuole credere con tutte le sue forze a questa figura della madre ultraterrena nella sua irreale perfezione.

Da lettrice, oltre ad essermi sentita tradita, non ho apprezzato questo dipingere Roberta come bambina, come troppo presa dalla sua vita e dai suoi problemi, dalla crisi del suo matrimonio, dal lavoro che la affanna, come se tutto ciò non lasciasse spazio ai sentimenti ed alle vite di chi le vive vicino e da un lato è anche vero ma credo anche sia stato tutto fortemente esasperato e voluto da Mimì in primis che a questa figlia non ha dato  fiducia credendola troppo fragile e che potesse quindi spezzarsi alla minima folata di vento ed invece Roberta ci stupirà nella forza che sarà capace di sprigionare quando non avrà altra scelta all’infuori di questa  e forse, se Mimì avesse creduto di più in lei, questa forza l’avrebbe scelta piuttosto che subita.

Prezioso è secondo me il non vedere da parte di Roberta l’omosessualità del figlio Riccardo capita solo dalla piccola Alice perché, anche qui, la figura di Carlo risulta inesistente, non le viene dato spazio, e, stranamente, sfugge anche all’occhio della nonna che, a differenza della figlia, è sensibile a tutto ciò che accade nella vita dei suoi nipoti e di Roberta, ciò evidenzia un aspetto molto comune ai genitori che spesso nel manifestarsi di un profondo malessere dei figli si interrogano sulle loro azioni, se possono in qualche modo aver generato questo malcontento e non trovando nelle proprie azioni la causa, in preda a sentimenti di paura ed impotenza, puniscono i figli piuttosto che guardare di più e meglio nel loro mondo e qui Alice ci insegna tanto: non ha bisogno il fratello le racconti i suoi sentimenti, li vede nel suo sorriso quando guarda Giovanni, quando con lui si confida e trascorre del tempo e lo sente nella sua tristezza che lo pervade facendolo chiudere in atteggiamento scontroso con il resto del mondo quando Giovanni va via.

Ciò sfugge agli adulti che tanto hanno sempre bisogno di vedere e che non sanno più sentire e quando sentono, dubitano di ciò che sentono avvertendo l’esigenza di prove che rendano reale il loro sentire invece ad Alice basta ciò che sente affinché sia reale e da quel sentire si lascia guidare.

Altrettanto spiazzante, così come la catastrofe che si abbatte sulla vita di Mimì e poi, solo dopo, anche sulle vite di chi la ama e le sta vicino, è il gesto finale di Carlo che, in un atto plateale, si scusa con Roberta per la frattura nel loro matrimonio, frattura raccontata sempre e solo nell’animo dei singoli protagonisti senza che vi fosse mai un reale chiarimento tra i due, anche questo aspetto rimane sullo sfondo per lasciare, ancora una volta, spazio e riflettore sulla figura di Mimì.

Questa l’ho trovata una grande mancanza, è come se una serie di gesti ed azioni scollegati apparissero all’improvviso nel libro tra due personaggi che non comunicano quasi mai direttamente ma sempre e solo con mediatori: da Mimì, ad Alice, a Valeria, collega di Roberta, insomma,tutti sembrano saperne più di Carlo e quindi questo “scusarsi” in modo sottinteso di Carlo è, a mio avviso, fuori luogo decidendo che sia lui l’unico fautore di questa crepa e, ancora una volta, Roberta, proprio come una bambina, viene completamente assolta e deresponsabilizzata non donando a questo personaggio credibilità e spessore.

Quindi, volendo trarre le mie conclusioni, lo rileggerei? Assolutamente sì, perché, anche se non l’ho condiviso in tutte le scelte, mi ha donato uno sguardo diverso ed arricchito verso gli eventi ma soprattutto verso me stessa e gli altri.

Incontrare il personaggio di Alice è stato un viaggio bellissimo, indubbiamente il personaggio che più mi ha toccata e lasciato: innanzitutto, mi ha ricordato di osservare le persone quando non sanno di essere guardate, è lì che le conosci veramente; mi ha insegnato a fidarmi di ciò che sento e lasciarmi guidare da quelle emozioni e che sentire è sufficiente per sapere; mi ha insegnato a guardare oltre una cattiva risposta, a volte usciamo parole dure solo per difesa o per una lotta interiore che stiamo affrontando e che chi abbiamo di fronte non può sapere.

Da Roberta ho imparato a distogliere l’attenzione dai miei problemi e da ciò che mi riguarda per ricordarmi di guardare chi ho di fronte, ascoltarlo, osservarlo, per accorgermi di ciò che sta vivendo e non ritrovarmi a scoprire a giochi fatti ciò che gli sta accadendo; a non pretendere da chi ho al mio fianco, sia tutta sua la responsabilità di una crepa, a non far mai credere a chi mi ama, che sia troppo fragile per superare una tempesta.

Da Carlo ho imparato a non concentrarmi troppo sui miei obiettivi lasciando indietro chi cammina con me; a non farmi carico totalmente e da sola di ciò che non va e ad imparare ad esprimere le mie emozioni, senza tenerle solo per me pretendendo che gli altri facciano tutta la strada da soli per arrivare a conoscerle.

Da Mimì ho imparato forse la lezione più importante: che mostrare le proprie paure e debolezze è sano ed è sano anche per chi ci sta vicino; che non dobbiamo essere sempre perfetti, sorridenti ed invincibili e che questo ci rende solo una bella idea, ma poco, se non per nulla, umani, e ci carica di un fardello che nessuno dovrebbe mai scegliere di portare sulle proprie spalle e ci rende soli per scelta e non perché lo siamo per davvero; mi ha insegnato a dare fiducia a chi amo senza crederlo troppo fragile ed incapace di affrontare circostanze ed emozioni, a lasciare loro la possibilità di scelta senza sia io a scegliere per loro.

Quindi, se volete una lente di ingrandimento sul mondo, su voi stessi e sugli altri, sì, ve lo consiglio vivamente, io non immaginavo, prima di scrivere questa recensione, quanto questo libro mi avesse lasciato in eredità, un’eredità che custodirò gelosamente e condividerò con piacere, iniziando dal guardare gli altri quando non sanno di essere guardati.

Alice non lo sa, ma sentendo, insegna tanto.

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Il passato è un campo di addestramento di Valeria Petruzzelli

Come spiegato in “Cos’è Culturandia?” questo sito nasce con lo scopo di promuovere e diffondere la cultura dando voce a quanti in essa ancora credono ed investono.

Questa volta a bussare alla  porta di Culturandia è stata una giovane autrice, Valeria Petruzzelli, con un sogno al quale dare voce e corpo e Culturandia di certo non poteva rimanere indifferente ed è anzi orgogliosa di farsene portavoce e promotrice.   

“L’ossessione dà una direzione, uno scopo, rende lucidi. La passione è il contrario della lucidità. Di questi contrasti vive questo romanzo che brucia di febbre, e striscia tra i generi come tra reale e fantastico, come tra l’erotico e il noir. Una vertigine ammaliante che vi trascinerà nelle sue pagine. “

Gianluca Morozzi

 

“Il passato è un campo di addestramento. Storia di Lei” è il racconto di esperienze ed emozioni estreme: un amore finito che diventa ossessione, la passione che si trasforma in eccesso, la sete di vita che si confonde con quella di vendetta. In questo libro Lei si racconta in un diario, facendo percepire quanto c’è di socialmente inaccettabile come ordinaria routine, quasi a cercare l’estremo nell’estremo. Il resoconto della sua storia d’amore con James assume spesso dimensioni irreali che confondono le coordinate della narrazione e la lucidità del racconto, lasciando il lettore privo di stabilità.

In bilico tra sonno e risveglio, Eve affronta il proprio passato ed impara a conoscere una nuova vita oltre la vita, ma non sarà facile salvarsi dalla propria ossessione.

 

 

Valeria Petruzzelli è nata a Ferrara il 22 febbraio 1990 da genitori baresi, ha vissuto per tre anni a Caivano (NA) e per quattordici anni a Casagiove (CE). Nel 2010 si è trasferita a 

Conversano (BA) e si è laureata in Scienze e tecniche psicologiche per la persona e la
comunità presso la seconda università di Napoli nel 2013. Attualmente svolge il Servizio Civile presso la cooperativa sociale Itaca e fa volontariato per un’associazione di promozione sociale, “Venti di scambio”. Ha una grande passione per la musica, per il canto in particolare, per il cinema e la fotografia e, ovviamente, per la lettura: i suoi autori preferiti sono Stefano Benni, Charles Bukowski e Valérie Tasso. Con questo romanzo ha vinto nel 2015 la prima edizione del Premio Inedito Garp Under 30.

 

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